lunedì 24 dicembre 2007

Wicked games

A Flores le scarpe sono rare quanto i telefoni e gli ombrelli. Le persone camminano per lo piu' scalze, e quando il cielo scarica i suoi pesanti acquazzoni si aggirano per ore scalze nel fango con le ceste poggiate sulla testa e il bestiame al seguito, riparandosi sotto foglie di banano lunghe e resistenti. Le strade di Flores sono asfaltate. Ma e' il territorio che e' cosi' selvaggio, ondulato e impervio da aver obbligato gli olandesi a disegnare curve cieche che risulterebbero difficili da domare anche per una vettura da rally. Non esiste una strada costiera, e per coprire i 257 chilometri fra Labuhan Bajo e Bajawa ci vogliono piu' di nove ore. Per i 160 fra Bajawa e Moni, ai piedi dello spettacolare monte Kelimutu, circa sette. Ma per fortuna riesco a strappare un passaggio ad una coppia in auto, ne risparmio una abbondante e visito anche i villaggi di Bena e Wogo. I veicoli pubblici, i bemo, che scorazzano per l'isola indonesiana a maggioranza cristiana trasportano indifferentemente mucche, famiglie e aratri, sono compatti, colorati dagli adesivi che tappezzano i lunotti anteriori con nomi di sportivi (europei) e cantanti (americani) o con passi della Bibbia, ma sulla fiancata sono spesso marroni. Dettaglio che non dipende dalla pioggia torrenziale o dai frequenti smottamenti, ma dalla debolezza degli stomaci degli indonesiani. Per i quali l'insostenibile conato di vomito arriva sempre prima della busta di plastica. 
A Moni mi sistemo nella casetta senza luce e acqua di Maria, che oltre a me ospita un ragazzo francese. Subito dopo essersi presentato, Jean strappa la plastica a protezione del mio ultimo libro, l'edizione francese di Voyage au bout de la nuit che ho rimediato due mesi fa a Bangkok, in un chiosco dell'usato di Banglamphu. Il ragazzo capisce che il mio sopracciglio arcuato vorrebbe una spiegazione, ma prima di darmela cerca un'ultima conferma. La trova a pagina 367. 
"Ecco, e' proprio quello. E' proprio il testo che ho venduto io a meta' ottobre, nel giorno piu' brutto della mia vita" mi dice. Jean ha imparato l'italiano leggendo Dylan Dog ed e' per questo che mi racconta la sua storia in francese. Lo fa dopo essersi rasato al buio ed essersi lasciato una voglia di barba a forma di vela tra il lato della bocca e il mento.
"Avevo deciso di partire - la sfumatura marsigliese mi arriva all'orecchio mentre provo a tamponare l'infezione ad un dito del piede con il Rivanol, l'unico rimedio che mi hanno saputo proporre sull'isola, un medicamento giallo paglierino con le stesse proprieta' curative dei prodotti di Vanna Marchi - percio' mi ero liberato del libro di Celine".
"A Bangkok - prosegue - avevo trascorso giornate indimenticabili in compagnia di una ragazza inglese di origine thailandese fumando yaba, una specie di anfetamina. ma in quella sostanza dev'esserci qualcosa che alla lunga ti rovina, perche' io la reggevo bene, mentre lei, che ne faceva uso da tempo, ogni tanto si trasformava in una bestia in preda alla paranoia. Anche per questo avevo deciso di svignarmela senza avvisarla".
"Per la prima volta da quando ero in Thailansi ho chiamato un tuk-tuk chiedendo di portarmi in stazione, ma il conducente mi ha scaricato all'imbocco di un vicolo cieco, dove sono stato aggredito e derubato da due malviventi. Mi hanno obbligato a ritirare quello che avevo sul conto con la carta di credito e mi hanno preso tutti i contanti"
"Frustrato e incazzato non mi e' rimasto che tornare in ostello, dove la tizia e' uscita completamente di senno: ha capito che me n'ero andato senza avvertirla e dopo una discussione accesa ha cominciato ad incidersi le braccia con un coltello da cucina, minacciando di chiamare la polizia e di denunciarmi per aggressione se non le avessi promesso che sarei rimasto a Bangkok con lei. Dopo averla rassicurata e aver tamponato l'emorragia sul suo braccio, sono riuscito a strappalre il coltello e a buttarlo dalla finestra. Poi dalla reception ho chiamato un'ambulanza. Nel frattempo, pero', lei mi ha sottratto il passaporto e il bancomat. Il primo sono riuscito a recuperarlo, il secondo no. Ho dovuto aspettare 3 settimane in Laos che me ne arrivasse uno nuovo. Ma qui in Indonesia non funziona mai. In poche parole sono nella merde".

A giudicare dallo stato del dito del mio piede e dall'incertezza sul mio futuro, potrei dire lo stesso di me. Da Bali in poi ho cercato inutilmente informazioni sulle navi tra Flores e Timor. Ma al telefono non ho mai ricevuto risposta. E di persona ho raccolto solo tante contraddizioni. Un presunto esperto mi ha parlato di traghetti programmati il martedi' e il mercoledi', un altro il giovedi' e il sabato, passando per la cittadina di Ende ho raccolto una voce che metteva in ballo anche il lunedi'. Secondo la guida il giorno giusto e' il venerdi'. Senza contare gli inguaribili ottimisti, secondo i quali di navi ce ne sono quante ne voglio e gli iperscettici che non prevedono piu' di un ferry ogni due settimane. Sulla durata della traversata si oscilla fra le 3 e le 30 ore, mentre sulla sicurezza dei mezzi in rapporto alla stagione delle piogge e ad onde che raggiungono gli otto metri di altezza, si va dal "vai tranquillo" all' "e' meglio se lasci perdere".
"Ho la soluzione per te" mi dice una voce, mentre non ho finito di avvolgere il dito in un kleenex e da Maria non e' ancora ritornata l'elettricita'. L'inglese e' sicuro ma imperfetto, il timbro e' profondo ma sul finire delle parole la voce si arriccia su un acuto lamentoso. E il tono e' reso leggermente ridicolo da una somma di difetti fonetici, e comunque a Moni la gente mormora parecchio. Jeff e' indonesiano di nascita, ma da un lustro vive a Gold Coast. Era tornato dall'Australia con l'intenzione di stabilirsi nella sua Timor ed aveva progettato una vacanza a Flores con un suo amico. Ma Erick all'aeroporto non si e' presentato. Cosi' a Jeff - che "non ha mai fatto un viaggio da solo" - avanza un biglietto aereo per tornare a Kupang, sull'isola di Timor. Se lo voglio e' mio. 
"Solo amico?". Gli chiedo, cominciando a prendere tempo e giocando a completare il puzzle. "Cosa intendi?". "Flirtavate?". "E tu come lo hai capito...?". 
La proposta e' fortemente indecente, e l'offerta di Jeff mi tenta molto piu' di quanto lui vorrebbe tentare me. Forse non imparero' mai ad affrontare una situazione, un problema, alla volta. Ma fra i tanti insegnamenti che ho appreso grazie alla maratona, quello piu' immediato e ricorrente e' che l'ultimo chilometro e' il piu' semplice. Di navi indonesiani me ne manca solo una, che parte di domenica. Nell'unico giorno non quotato. Non so quanto duri la traversata dello stretto fra Flores e Timor. Oltre ad una serie di quarti d'ora sabbatici, nell'orologio uzbeko la tacca delle tre si e' spezzata e si inceppa fra le lancette. I locali consumano il viaggio impalati davanti ad un televisorino sintonizzato su SCTV che trasmette un telefilm nel quale il protagonista viene picchiato da due brutti ceffi poi viene infilato in un sacco e gettato in un fiume. Dove galleggia (...) finche' non arriva l'eroina (nel senso di eroe al femminile) a salvarlo. 
Segue il programma Kriminal e Selebriti, un contenitore sui vip indonesiani che infrangono la legge e finiscono dietro le sbarre. Quindi Crying Freeman, sottotitolo "piange quando uccide" - una pellicola nobilitata dalla performance di Mark Decascos. Infine una partita di calcio che seguo per 14 minuti, contando piu' di cento passaggi sbagliati e nessun tentativo di avvicinamento all'area di porta avversaria. Personalmente mi attira di piu' il cartello di fianco, su sfondo bianco con scritte gialle e blu e un'illustrazione in quattro fasi che spiega CARAMEN GENAKAN PENOLONG. Come indossare il life jacket.
"No water, no water". Che a bordo non ci fosse acqua, potabile o meno, lo davo per scontato. Quel che non immaginavo, avendo visto un sacco di gente sbucare da un angolo con la patta ancora aperta, e' che non ci fosse un bagno. Sulla nave si fa come come in un parco di Donetsk qualsiasi. Si piscia dove capita.
Qualsiasi cosa avessi deciso, sapevo che il 24 dicembre, arrivando a Kupang, mi avrebbe aspettato Jeff col suo ciuffo avorio e verdeacqua. Quel che non potevo immaginare e' che Jeff sarebbe stato in compagnia di Andy, con la sua striscia blu sulla capigliatura, Randy, con un cespuglio ramato, e Iman, coi colpi di sole color carota. Quel che non sapevo, insomma, e' che avrei trascorso Natale coi Beehive di Timor.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao mi chiamo Massimiliano e sto seguendo con molta attenzione il tuo viaggio, mi affascina tantissimo, non c'è giorno che non leggo il tuo blog.
Ovviamente sono un tifoso della roma che sente rete sport.
Volevo farti un saluto e chiederti quando torni ? Certo avrei mille domende sul tuo viaggio ma in uno spazio così piccolo non è possibile.Ti mando un grande saluto ciao massimiliano.

Anonimo ha detto...

poi dicono che rompo, ma bisogna ammetterre che o sei molto sfigato o cerchi veramente rogna. Speriamo che la fortuna continui a metterti la mano su quella testa che sarebbe tanto ricca se non fosse un bel po' matta.

Anonimo ha detto...

Diciamo pure che l'immagine finale di te a tavola con i beehive non è molto allettante. Soprattutto in considerazione del fatto che a tutto ciò c'è da aggiungere un dito del piede...non proprio "elogio" della salute!

Nel frattempo ti faccio i miei auguri di Buon Anno (che come direbbe Paglia: te ne frega il giusto, cioè nulla!) anche se so che avresti preferito una boccetta di tintura di iodio per le tue ferite....


Ingegnere

maila ha detto...

Fatti guardare quel piede.Non fare lo scemo.OLTREMODO.Soreta

Anonimo ha detto...

E chi mai potrebbe guardargli un piede se va nei posti dove i bipedi non sono ancora arrivati?

mauro ha detto...

I beehive li hai trovati ora manca Licia.....

Anonimo ha detto...

La storia del tassinaro l'ho capita poco... ma la prossima volta che provano a lasciatte in qualche posto strano... daje 'na svitata alla capoccetta e scappa 'de prisa y corriendo!'.

Bye Remo.

Anonimo ha detto...

Uno dei consigli dall'italia per far passare l'infezione al piede è l'amputazione senza anestesia. Funziona bene!

Ora che sei nella semi-civiltà tra gli aborigeni fatti vedere da un medico, altrimenti i prossimi viaggi li devi fare con le grucce!!!!

Anonimo ha detto...

la storia dell'inglese paranoica mi ricorda uno dei racconti di Pablito...